Aprire lo studio

 

Giuseppina Lesa, l’artista delle tecniche multiformi, della scultura e della grafica, la maestra dell’incisione e di centinaia di piccoli studenti, ci apre allora la porta in un pomeriggio di giugno e noi possiamo assaporare l’aria della stanza assieme al profumo delle sue carte, ai segreti antichi e nuovi di bulini e morsure.
Sfogliando con lei il suo diario lo troviamo colmo di tracce di dolore e di speranza, ma soprattutto scopriamo lettere che raccontano il motivo antico di un’umanità che lascia orme del suo passaggio.

Palpitanti attimi d'incontro

Una parte per il tutto, un discorso che non grida parole in segni scomposti, ma accenna, indica, accarezza veloce come voce che sussurra. E’ espressione di sentimenti, emozioni, magari evidenziati da accenni alla fisicità, quasi che l’artista andasse a cercare sezioni, tracce, per leggere in se stessa momenti d’introspezione nascosta. E non soltanto: anche un invito a specchiarsi nei concetti espressivi e sentirne i fremiti palpabili.
Su tutto si adagia una sensazione di lievità, di leggerezza agile. Accompagnata, nel contempo, dalla velocità del segno grafico, dalla decisione nel tracciare un ovale, un grappolo, una strada, magari accentuata in una sorta di segno-eco. Lieve quanto ad agilità di fruizione, a insieme compositivo in cui si privilegiano uno scelto percorso cromatico e l’uso di selezionati segni significanti. Lieve ma forte quanto a segno che cattura l’attenzione che imprime emozioni, palpitanti attimi di un discorso.
Lavori su tele, su drappi, su carte che tentano il tatto, invitano ad una fruizione non soltanto visiva, a incontri fisici con l’opera.

Incorniciata e appesa ecco la stessa terra, l’elemento primordiale, domata, sezionata con il bisturi dell’arte e presentata con i suoi tetri colori.
La pittrice non ci lascia inghiottiti, smarriti tra le sue introspezioni, lei ci mostra la materia, la base, il fondamento - la terra -  e poi con decise mosse interviene facendola accessibile, sezionandola, scavandola, forandola, cercando la sorgente della germinazione per poterla amare.

La Lesa conosce la fatica e la pregnanza dell’homo viator, il pellegrino dell’anima, colui che da uno stato all’altro deve sempre camminare, da un modo di essere all’altro è comunque costretto a procedere; il concetto della strada, del Calvario da cui ogni uomo (e qui sta un’importante intuizione dell’artista) deve anche ridiscendere, portando sulle spalle il dolore suo, del prossimo, dell’umanità intera. In questi quadri il segno deciso ha la predominanza rispetto al colore, sfumato, vivace nel rosso ambiguo per la sua simbolica valenza amore-dolore, ma pur figlio della capacità di incidere con precisione e pulizia, dote prima della Lesa, che sa trasferirla nei dipinti a tecnica mista.

L’efficace e spontanea gestualità delle sculture della Lesa si esprime attraverso un espressionismo simbolico e tratta tematiche di impegno sociale ed intimistico.
Altamente significativo è il corpus di 13 tavole in tecnica mista e 23 sculture in terracotta dal titolo “Volti, mani e piedi”, relativo alla storia di ogni essere umano, facendo la scelta di evidenziare i valori non solo fisici, ma anche interiori. Le sculture offrono una peculiarità espressiva attraverso le diverse sfumature dell’io, con un profondo studio psicologico. L’osservatore sembra trovarsi in un mondo pirandelliano dove l’uomo cambia di volta in volta la maschera; un complesso scultoreo di una spontaneità artistica e ricerca armonica delle forme. Ogni singolo soggetto vuole rappresentare l’enigma dell’essere umano.